Peel slowly and… copertine d’arte

Andy Warhol – Velvet Underground & Nico (1967)

L’esperienza totale del vinile richiede tempi dilatati, spazi dedicati e un’attenzione profonda da prestare ben prima che la puntina scenda sul solco. È la copertina che espande quell’esperienza oltre i confini dell’ascolto, come un piccolo rito del tè dove gli altri sensi, vista, tatto, persino l’olfatto diventano viatico alla rivelazione di sonorità desiderate e attese.

È innegabile che una parte considerevole dell’arte contemporanea, così fortemente caratterizzata dalla contaminazione (di idee, di forme, di materiali, di àmbiti) abbia stretto con la musica un legame mai visto prima, da quando l’ascolto è diventato riproducibile all’infinito e a discrezione dei singoli. L’arrivo del vinile sul mercato di massa ha decretato la nascita di un nuovo genere artistico, figlio della modernità e assolutamente democratico, vista l’accessibilità, anche economica, al grande pubblico. Insomma, finalmente un’arte davvero pop!

Con il tempo le copertine hanno assunto un’importanza sempre più significativa e, superando la semplice funzione protettiva, si sono guadagnate un posto da comprimarie accanto al disco che custodiscono, anticipandone contenuti e atmosfere, suggerendone chiavi di lettura, accompagnandone l’ascolto.

  1. ARTISTI FAMOSI CHE HANNO REALIZZATO COPERTINE

La propensione per la multiculturalità, l’interazione tra le arti, la trasformazione della cultura popolare in cultura di massa, l’interesse per gli stimoli continui e seriali portati dalla pubblicità e dai nuovi media e i nuovi modelli di percezione generati dall’invasione consumistica, spingono gli artisti a mettersi alla prova dialogando con l’altro grande protagonista dell’arte contemporanea, la musica, e contribuendo a creare dischi diventati icone. Il momento in cui la musica comincia a diventare fruibile a un vasto pubblico attraverso l’industria discografica coincide con quello in cui l’arte si libera da schemi tradizionali e luoghi istituzionali per occupare spazi in precedenza impensabili. È Salvador Dalì, manco a dirlo, ad anticipare i tempi, realizzando nel 1955 la copertina del 33 giri (per il resto ben poco memorabile) dell’amico attore/cantante Jackie Gleeson,

Salvador Dalì – Lonesome Echo (Jackie Gleeson, 1955)

ma è con Andy Warhol e il suo vorace interesse per tutto ciò che fa spettacolo che la cover art diventa un genere artistico indipendente e di grande attrattiva. Con le leggendarie copertine per il primo album dei Velvet Underground e per Sticky Fingers dei Rolling Stones,

Andy Warhol – Sticky Fingers (Rolling Stones, 1971)

Warhol entra contemporaneamente nella storia dell’arte e della musica, con due geniali e dissacranti trovate comunica la potente carica sessuale del rock e invita lo spettatore/ascoltatore ad agire sull’opera, alla scoperta del nuovo ruolo attivo e creativo che gli attribuisce l’arte contemporanea.

Peter Blake – Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band (The Beatles, 1967)

Richard Hamilton – White Album (The Beatles, 1968)

Tutto il vasto movimento della Pop Art, su entrambe le sponde dell’oceano, è coinvolto nella creazione di rivoluzionarie custodie musicali, dall’Inghilterra, a partire dai capiscuola Peter Blake e Richard Hamilton, alla California underground della psichedelia e dei fumetti.

Robert Crumb – Cheap Thrill (Janis Joplin & Big Brother and The Holding Company, 1968)

Nei decenni successivi, fino ad oggi, moltissimi artisti famosi li hanno emulati realizzando copertine indimenticabili.

Martin Sharp – Disraeli Gears (Cream, 1967)

Jamie Reid – Never mind the bollocks (Sex Pistols, 1977)

Robert Mapplethorpe – Marquee Moon (Television, 1977)

2. ARTISTI SPECIALIZZATI IN COPERTINE

 

La cosiddetta “epoca della riproducibilità tecnica” apre una nuova frontiera nella divulgazione dell’arte e così come il vinile permette una diffusione capillare e veramente popolare della musica, anche l’arte figurativa si tiene al passo con i tempi, cogliendo le opportunità offerte dalle nuove tecnologie. Grafici, illustratori e fumettisti trovano nella realizzazione di copertine e poster musicali un approdo felice alla propria creatività e per alcuni, i cui nomi sono diventati veri e propri miti, una consacrazione altrimenti negata dai canali istituzionali e più noti.

Reid Miles – In ‘n out (Joe Henderson, 1965)

Reid Miles – Blue train (John Coltrane, 1958)

 

Reid Miles – Into something (Larry Young, 1965)

Le loro cifre stilistiche sono note e riconoscibili oltre l’ambito discografico, come i surreali e colorati paesaggi di Roger Dean, che anticipano di parecchi anni la sognante estetica New Age.

Roger Dean – Fragile (Yes, 1971)

Roger Dean – Osibisa (1971)

 

Hipgnosis – The dark side of the moon (Pink Floyd, 1973)

Hipgnosis – Animals (Pink Floyd, 1977)

 

 

 

Hipgnosis – Houses of the Holy (Led Zeppelin, 1973)

 

 

 

Altri hanno messo a punto procedimenti operativi all’avanguardia che successivamente sono stati ampiamente utilizzati dai creativi di ogni genere: è il caso del leggendario studio Hipgnosis di Thorgerson, Powell e Christopherson, le cui sapienti manipolazioni hanno inventato un nuovo modo di intendere la fotografia artistica.

Mati Klarwein – Bitches Brew (Miles Davis, 1970)

 

Pennie Smith – London Calling (The Clash, 1979)

 

 

 

 

Anton Corbijn – The Unforgettable Fire (U2, 1984)

Rod Dyer – Catch a fire (The Wailers, 1973)

Rick Griffin – Aoxomoxoa (Grateful Dead, 1969)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

3. COPERTINE REALIZZATE DA MUSICISTI

 

Lo straordinario melting pot che è la cultura artistica a partire dal secondo dopoguerra abbatte barriere e ridisegna, sfumandoli, i confini tra una forma d’arte e l’altra, tra uno strumento operativo e l’altro. Gli artisti non sono più legati alla specificità del loro mezzo ed è tutto un fiorire di allegra onnipotenza e sconfinamenti in altrui campi.

Morrissey – Meat is murder (The Smiths, 1985)

Perry Farrell – Ritual de lo habitual (Jane’s Addiction, 1990)

David Byrne – More songs about buildings and food (Talking heads, 1979)

Daniel Ash – Mask (Bauhaus, 1981)

Così molti musicisti firmano le copertine dei propri dischi, affidando alla pittura, alla grafica o alla fotografia l’espressione accessoria di una creatività che spesso raggiunge risultati eccellenti. Le scuole d’arte, fenomeno tipicamente ed esclusivamente britannico, con il loro modello didattico ispirato alla Bauhaus, sono il vivaio d’elezione per artisti come Ian Dury, Brian Eno, John Lennon, Jimmy Page, Keith Richards, Joe Strummer e molti altri.

Joni Mitchell – Clouds (1969)

Nella creazione delle copertine per i propri album Joni Mitchell dichiara la pratica della pittura come attività parallela e non subordinata a quella musicale. Ma è in assoluto David Bowie a realizzare compiutamente l’ideale di un artista completo, eclettico, in un certo senso rinascimentale, che esprime questa genialità anche nelle copertine dei suoi dischi, con una capacità straordinaria di cogliere il talento altrui e metterlo al servizio della propria ispirazione.

David Bowie, Derek Boshier – Lodger (1979)

4. RIPRODUZIONI DI OPERE D’ARTE

In un mondo così variegato come quello delle copertine di vinili, non potevano mancare le tante cover con immagini che riproducono opere d’arte più o meno famose. I musicisti si affidano a capolavori che a volte proseguono e in qualche modo completano il mood del disco, in una continuità ideale che amplifica l’ispirazione; altre volte l’opera raffigurata è in aperto contrasto con l’intenzione del musicista, a creare un effetto contrappuntistico di grande dinamismo; oppure la figura non ha alcun rapporto con la musica e si propone senz’altro scopo che la propria espressività. Tra l’altro, questo costituisce un’ottima opportunità di diffusione e divulgazione dell’arte figurativa, rivolta ad un pubblico non specialistico e spesso poco disposto a oltrepassare i confini della propria passione musicale.

Jackson Pollock, The white light, 1954 (Ornette Coleman, 1960)

Yves Klein, IKB, 1958 (Lennon/Ono, Live peace in Toronto, 1969)

John Everett Millais, Ophelia, 1851 (Christian Death, The wind kissed picture ,1985)

Pablo Picasso, Ritratto di Arthur Rimbaud, 1960 (Rip, Rig and Panic, I am cold, 1982)

La dama e l’unicorno, arazzo fiammingo, XV sec. (John Renbourn, The lady and the unicorn, 1970)

Lucio Fontana, Concetto spaziale, Attese, circa 1960 (Steve Kuhn Trio, Watch what happens, 1968)

Bernard Pierre Wolff, Tomba Appiani al Cimitero Staglieno, Genova, 1980 (Joy Division, Closer, 1980)

René Magritte, La chambre d’écoute, 1958 (Jeff Beck Group, Beck’s Ola, 1969)

In questo caso l’artwork propone, rielaborate graficamente o assolutamente fedeli all’originale, opere di ogni genere, tempo e latitudine: arazzi e miniature medievali, sculture neoclassiche, maschere africane, acquerelli giapponesi, dipinti rinascimentali, preraffaelliti, astratti, avanguardie e neoavanguardie, espressionisti e impressionisti, De Chirico, Arcimboldo, Magritte, Pollock, Fontana, Picasso, van Gogh… capolavori spesso sconosciuti che grazie alla musica sono entrati nell’immaginario comune.

Gerhard Richter, Kerze, 1983 (Sonic Youth, Daydream Nation, 1988)